Torna #WinnerTaco: ed è subito social

Ci è già capitato di parlare di social network e di come lo scambio tra consumatore e azienda tramite pagina Facebook, account Twitter e così via può portare a curiose evoluzioni di prodotto o servizio. Ritiro fuori dal cilindro il recentissimo caso di Philadelphia senza lattosio, il prodotto chiesto dai fan di Facebook e quindi prodotto da Kraft Italia con l’intermediazione dell’agenzia DLV BBDO come uno dei primi esempi del peso che sta raccogliendo la cura del relazione digitale con i clienti. Questa volta è il turno di Algida, che sconvolge i propri fan su Facebook con una incredibile e inaspettata rivelazione: torna Winner Taco, l’indimenticato gelato-snack inventato negli anni Ottanta negli Stati Uniti e commercializzato in Italia nel 1998. Una battaglia, quella per il ritorno di Winner Taco, che affonda le radici nella comunità fan della pagina Algida, in cui da tempo gli amministratori raccolgono lo sfogo dei Taco-veterani che si sciolgono nel ricordare i bei vecchi tempi andati (sob), quando il tuo principale appuntamento mondano era la partitella di calcio in oratorio e avevi in tasca solo cinquemila lire (milleecinquecento delle quali finivano al barista per il Winner Taco, chiaramente). Continua a leggere

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Philadelphia senza lattosio: la richiesta dei fan su Facebook diventa realtà

84953-philadelphiahomepageMi è già capitato di parlare di Philadelphia in un post precedente, che si riferiva alla campagna di comunicazione “The Social Sandwich”. Questa volta torno a parlarne per analizzare una nuova campagna TV, che a sua volta nasce dai social ma che, a sua volta ancora, arriva dal cliente finale e ha portato alla realizzazione di una nuova linea di prodotto. Parliamo di un prodotto nuovo, che risponde alle recenti tendenze di marketing delle intolleranze alimentari: Philadelphia lancia “il formaggio spalmabile senza lattosio”.

Questo formaggio mi incuriosisce molto per una serie di fattori. Primo fra tutti, per la sua composizione. Esistono leggende metropolitane che parlano del primo Philadelphia come di uno scarto della catena di produzione delle industrie casearie del primo novecento americano, che è stato allungato con la panna per errore ma che, grazie a questo errore, ha raggiunto quella cremosa consistenza che si conferma a oggi la supporting evidence (per dirla alla Ogilvy) del prodotto. Continua a leggere